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San Filippo Neri
in Perugia


Non è tempo di dormire perché il Paradiso non è fatto per i poltroni.

Transetto destro - Cappella di San Filippo

Il transetto
La decorazione del breve transetto della chiesa, che termina da un lato con la cappella di San Filippo Neri e dall’altro con la Cappella della Crocifissione, non rientra propriamente nel programma iconografico dell’Immacolata Concezione, ma è comunque un completamento delle immagini dell’altare e un collegamento con gli episodi dell’Antico Testamento. Inoltre c’è anche un legame con il tema della Vergine, sia per quanto riguarda l’Addolorata, sia in merito a San Filippo, di cui viene raffigurata la visione che egli ebbe di Maria e il Bambino.

Cappella di San Filippo
    Filippo Romolo Neri nasce a Firenze, il 22 luglio 1515, da una famiglia nobile caduta in disgrazia. Nel 1534 è ospite a Roma di Galeotto Caccia per il quale svolge mansioni di precettore in cambio di vitto e alloggio. Nel giorno di Pentecoste del 1544, presso le Catacombe di San Sebastiano, mentre invocava i doni dello Spirito Santo, fu colpito al torace da un globo di fuoco con una tale violenza da rompergli due costole senza però fargli mai patire i dolori. Questo fuoco divino continuò ad infiammare ogni giorno il suo cuore, tanto da costringerlo, anche durante il freddo inverno, ad aprire le finestre della sua camera per cercare un po’ di refrigerio. Il 23 maggio 1551 fu ordinato sacerdote. Andò ad abitare nella Confraternita della Carità, dove sperimentò il metodo dell’Oratorio: incontri di meditazione, di dialogo spirituale, di preghiera. Filippo radunò negli Oratori di sua istituzione i ragazzi che fino ad allora vivevano in povertà e violenza per strada. Li faceva giocare sotto la sua vigilanza e cercava di educarli. Nel 1575 papa Gregorio XIII gli affidò la piccola chiesa di Santa Maria in Vallicella, dove morì all’età di ottant’anni il 26 maggio 1595. È stato proclamato santo nel 1622 e la sua festa è il 26 maggio.

 

   I soggetti della decorazione dipinti sulle volte e sui sordini della parete, volevano magnificare, con simboli e fatti storici, le virtù caratteristiche del Santo, che furono la base e il fondamento del suo apostolato: la purezza virginale, la carità verso Dio e il prossimo e la saggezza delle sue parole che gli meritarono il dono della sua profezia e dei miracoli. I dipinti in questa cappella sono relativi alla carità di San Filippo.

 

   Nel quadro centrale della volta si vede una gloria di angeli, nella quale sono riassunte simbolicamente le virtù della carità, della verginità e sapienza, che vengono anche illustrate nei quadri che compongono il resto della decorazione. In questo affresco sono rappresentati tre angeli volanti, di cui quello centrale porta un libro, simbolo della sapienza e dello spirito profetico; quello a destra ha un giglio per mano ad indicare la verginità; quello a sinistra reca un cuore fiammante immagine della carità ardente.

 

   Nel sordino a sinistra è rappresentato Mosè che si avvicina al roveto ardente, dove Dio gli affida il compito di liberare il popolo dalla schiavitù d’Egitto. Un’’interpretazione di questa scena ricorda le difficoltà e le contraddizioni sofferte da San Filippo da parte della Curia romana. L’interpretazione di Micaela Soranzo, invece, riconduce l’immagine del roveto ardente all’integrità virginale di Maria, rimasta sempre intatta. Considerando che l’intero ciclo figurativo della chiesa è riconducibile alla storia della Vergine, la seconda interpretazione è la più plausibile.

 

   Nel sordino di destra è rappresentato Daniele nella fossa dei leoni, che per ragioni prospettiche, ha la forma di un anfiteatro cinto da alte mura. In primo piano si vede il profeta Abacuc che, trasportato dall’Angelo del Signore dalla Giudea a Babilonia, reca il canestro con la polenta e le focacce per il sostentamento del profeta. Si narra, infatti, che Abacuc non conoscesse Babilonia e pertanto, l’Arcangelo Michele lo prese per i capelli e lo portò nel posto esatto in cui si trovava la fossa dei leoni. La figura di Daniele è associata a San Filippo per la sua purezza e per l’amore verso i fratelli.

 

   Sempre a sinistra, nello scomparto della volta, si vede Elia che restituisce alla vedova di Sarepta il figlio risuscitato. Questo episodio narra che il profeta, preso il bambino dalle braccia della madre, lo portò nella sua stanza, lo depose sul letto e dopo aver pregato ottenne la grazia di farlo ritornare in vita. (1 Re 17,23). Questa scena allude al miracolo accaduto per sua intercessione. Il 16 marzo del 1583 il giovane aristocratico Paolo Massimo morì dopo una lunga malattia durata tutto l’inverno. Il giovane era figlio del principe Fabrizio Massimo e di Lavinia de’ Rustici. San Filippo, che frequentava la casa ed era amico di famiglia, fu immediatamente avvertito. Giunse a benedire la salma, ma era profondamente rammaricato per non aver potuto assistere il ragazzo al momento del trapasso. Si mise allora a pregare accanto al corpo, poi chiamò il giovane e questi mosse dapprima le palpebre e poi si risvegliò. Il giovane disse di volersi confessare di un peccato che aveva dimenticato di accusare. San Filippo lo confessò. Il giovane si mise a parlare, per circa mezz’ora, della madre e della sorella defunte. La sua voce era ferma e chiara e il colorito roseo. Ai presenti sembrava che il ragazzo non avesse patito alcuna sofferenza. San Filippo gli chiese: “Sei contento di morire?” Il giovane disse di sì, perché desiderava quanto prima raggiungere in Paradiso la madre e la sorella. Allora il Santo, ponendo la mano sul capo del ragazzo, gli disse: “Va’, che tu sia benedetto e prega Dio per me.” Detto questo, il giovane Paolo morì nuovamente. Come racconta il Bacci (biografo del Santo) al fatto erano presenti vari testimoni: il padre Fabrizio con due sue figlie (poi suore in Santa Marta), Violante Santa Croce (la seconda moglie del principe Fabrizio), la domestica che aveva assistito il giovane nella sua malattia e altri ancora. Questo strepitoso miracolo rimase segreto per molto tempo, fin quando, in occasione del processo di canonizzazione di san Filippo, nel settembre del 1595, il principe Fabrizio Massimo lo rivelò nella sua testimonianza. La stanza dove avvenne il miracolo fu trasformata in Cappella e questa si trova a Roma al secondo piano del cosiddetto Palazzo Massimo “istoriato” (così chiamato per le pitture a monocromo della scuola di Daniele da Volterra poste sulla facciata che volge verso la piazzetta de’ Massimi). Il 16 marzo del 1839, in occasione dell’anniversario del miracolo, papa Gregorio XVI visitò la cappella e la elevò al grado di chiesa pubblica. Da allora ogni 16 marzo la cappella è visitabile. In essa si conservano due importanti reliquie di san Filippo: i suoi occhiali e il suo rosario. San Filippo è paragonato a Elia anche per la purezza d’animo, poiché i Padri della Chiesa affermano che il profeta visse in perpetua verginità.

 

   Sopra il dipinto vi è un tondo con l’immagine del pellicano, simbolo dell’amore che dona tutto sé stesso, che nutre i suoi piccoli con il proprio sangue sgorgante dal petto, dunque simbolo di Cristo.

 

   Nello scomparto della volta a destra vi è Geremia che, oltre a ripetere i simboli di verginità e carità, esprime la tenera compassione dell’animo per i mali spirituali e temporali del prossimo, tanto che il profeta della Lamentazioni invocava e pregava per la salvezza dei suoi concittadini e quindi rappresenta la carità operosa di San Filippo. Qui il profeta è rappresentato nel momento in cui riceve da Dio la missione di avvertire il popolo d’Israele dei castighi che lo colpiranno, simboleggiati dalla caldaia bollente che gli si avvicina da settentrione, dove vi erano i Caldei e i Babilonesi, che trassero in schiavitù il popolo d’Israele.

 

   Sopra la figura di Geremia vi è il tondo con la fenice, uccello mitologico, rappresentato fin dalle origini dell’arte cristiana, in quanto simbolo di rinascita e immortalità: si credeva infatti che dopo aver preso fuoco, rinascesse dalle sue ceneri dopo tre giorni.

 

   Nell’iscrizione scolpita nel cartiglio, posto in mezzo al timpano spezzato, che serve da coronamento all’altare, è scritto: SICUT ODOR AGRI PLENI (COME L’ODORE DI UN CAMPO PIENO). Sono le parole che Isacco pronunciò prima di benedire Giacobbe, simile ad un campo fiorito su cui scendendo celesti rugiade.

 

   Sull’altare vi è una tela, copia di quella che Guido Reni fece per la chiesa di S. Maria in Vallicella e che rappresenta l’Apparizione della Vergine col bambino a San Filippo Neri. Il padre Sensi avrebbe voluto mettere nell’edicola del Santo un quadro più grande, ma avendo già il popolo molta devozione all'immagine dipinta dal Reni a Roma, rinunciò e fece adattare il vano arricchendolo di un’ulteriore cornice, a mo’ di tempietto.

 

   Sotto il quadro, in un vaso d’argento seicentesco, è conservata la reliquia di parte cuore del Santo. Questo è visibile attraverso un’apertura. Fu portata a Perugia nel 1625 da padre Senso Sensi.

 

Lettura iconologica degli affreschi di Micaela Soranzo, tratte dal volume” La chiesa nuova o dell'Immacolata concezione e di San Filippo Neri in Perugia” Storia, pitture e restauro Volumnia editrice, 2008 Perugia.

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